Oltre la siepe… il buio o la luce?
A spasso verso una vita migliore
“Senti quella pelle ruvida. Un gran freddo dentro l’anima, fa fatica anche una lacrima a scendere giù. Troppe attese dietro l’angolo, gioie che non ti appartengono. Questo tempo inconciliabile gioca contro te. Ecco come si finisce poi, inchiodati a una finestra noi, spettatori malinconici, di felicità impossibili… Tanti viaggi rimandati e già, valigie vuote da un’eternità… Quel dolore che non sai cos’è, solo lui non ti abbandonerà mai, oh mai! E’ un rifugio quel malessere, troppa fretta in quel tuo crescere. Non si fanno più miracoli, adesso non più. Non dar retta a quelle bambole. Non toccare quelle pillole. Quella suora ha un bel carattere, ci sa fare con le anime. Ti darei gli occhi miei, per vedere ciò che non vedi. L’energia, l’allegria, per strapparti ancora sorrisi. Dirti si, sempre si, e riuscire a farti volare, dove vuoi, dove sai, senza più quei pesi sul cuore. Nasconderti le nuvole, quell’inverno che ti fa male. Curarti le ferite e poi, qualche dente in più per mangiare. E poi vederti ridere, e poi vederti correre ancora. Dimentica, c’è chi dimentica Distrattamente un fiore una domenica E poi… silenzi. E poi silenzi. Nei giardini che nessuno sa Si respira l’inutilità. C’è rispetto grande pulizia, è quasi follia. Non sai come è bello stringerti, ritrovarsi qui a difenderti, e vestirti e pettinarti si. E sussurrarti non arrenderti nei giardini che nessuno sa, quanta vita si trascina qua, solo acciacchi, piccole anemie. Siamo niente senza fantasie. Sorreggili, aiutali, ti prego non lasciarli cadere. Esili, fragili, non negargli un po’ del tuo amore. Stelle che ora tacciono, ma daranno un segno a quel cielo. Gli uomini non brillano Se non sono stelle anche loro. Mani che ora tremano, perché il vento soffia più forte… non lasciarli adesso no. Che non li sorprenda la morte. Siamo noi gli inabili, che pure avendo a volte non diamo. Dimentica, c’è chi dimentica, distrattamente un fiore una domenica e poi silenzi. E poi silenzi!” (Renato Zero – Nei Giardini che nessuno sa)
Dare alla luce un figlio. Portare al mondo, una nuova vita. Tutto questo è qualcosa di magico e nobile però, non di rado, dopo il parto può capitare che una madre si senta triste, stanca, demotivata… sul piano clinico si parla di “depressione post partum”. Prima di entrare nello specifico, domandiamoci:
Che cos’è la depressione?
“La vita è un buco che si infila in un altro buco e, stranamente, lo riempie” (Margaret Mazantini).
Nell’immagine proposta… una persona, una giovane donna di fronte ad un vuoto, di fronte ad un baratro, di fronte alle diversità della vita, che, a volte, si trasformano in avversità: una serie di montagne con diverse altitudini.
Quale sarà il suo stato d’animo?
Non possiamo osservare il suo volto perchè la osserviamo di spalle. Starà meditando? Starà riflettendo? Starà immaginando cosa farà da grande? Avrà intenzione di buttarsi giù per provare l’ebbrezza del volo, (magari parapendio o altro)? Questo dipende da come, ci verrebbe da dire, abbiamo imparato ad affrontare la vita.
Ma cosa significa?
Dipende da come abbiamo imparato a riempire quei buchi con altri buchi, che non è solo un gioco di parole o un gioco di prestigio, è il modo di condurre la nostra esistenza; perchè tutto quello che facciamo, innanzitutto, è fatto a scapito di altre scelte; perchè operiamo delle valutazioni, decidiamo di portare avanti un programma, ne trascuriamo degli altri e, insieme agli altri programmi, possiamo trascurare anche delle altre persone, le quali potrebbero non essere d’accordo. E, in parte, trascuriamo noi stessi circa la relazione con le altre persone. E quella parte di noi potrebbe non essere d’accordo.
E allora che cos’è ma, soprattutto, quando si manifesta la depressione?
Qualunque dizionario della lingua italiana o dei termini specifici di medicina, di psicologia, di psichiatria, definirebbe la depressione come uno stato globale che evidenzia delle situazioni di estrema sofferenza in termini di demotivazione, di abbattimento, di tristezza, di rabbia, di malinconia e, quindi, gli esperti hanno coniato il termine di sindrome, cioè un insieme di fattori che disturbano l’umore e, soprattutto, le programmazioni di vita. Quando una persona è depressa non riesce a programmare altro.
Perchè?
Perchè “depressione” ci fa venire in mente anche il termine depressurizzazione e, in fondo, siamo due elementi, noi ed il mondo esterno, due sfere, l’una compresa nell’altra. Quando la pressione della sfera che ci comprende è maggiore della nostra, noi ci comprimiamo fino a depressurizzarci e deprimerci; se, invece, la nostra pressione interna è maggiore o, quanto meno, allo stesso livello di quella esterna, fatta di eventi, fatta di una serie di circostanze, fatta di vita, allora noi restiamo in equipressione, con delle microvariazioni: in pratica un vuoto (o un buco) che, riempie un altro vuoto (o un altro buco), entrando in esso.
in quest’altra immagine abbiamo una galleria di volti. Sulla sinistra: giovani, con un diverso stato di preoccupazione, di abbattimento, di riflessione, di paura, di aspettative, di angoscia; sulla destra: una persona che non è più giovane, forse soprattutto “dentro” non lo è più. In basso leggiamo due termini: reattiva ed endogena.
Ci sono tanti modi per definire la depressione, però, per evitare di dilungarsi, si è convenuto col classificarla sostanzialmente in due “momenti”, che dipendono da due fattori diversi:
-
- Quella che noi proviamo come reazione a degli eventi particolari, quando perdiamo qualcuno, quando perdiamo qualcosa e, quindi, siamo frustrati al punto tale da sentirci abbattuti, depressi; dura il tempo necessario a metabolizzare quella frustrazione e poi ripartire;
- Quella endogena, cioè che viene da “dentro”, si ritiene che non abbia cause. Ciò è vero e falso al tempo stesso. Non ha cause apparenti, non ci sono motivazioni immediate perchè è qualcosa che si costruisce nel tempo che, poi, comunque, avrà delle ripercussioni anche e soprattutto nel nostro cervello, a livello dei neurotrasmettitori (ossia quelle sostanze chimiche che passano le informazioni da un neurone all’altro); però, in realtà, partendo dal di “dentro”, ha delle motivazioni che possiamo andare a cercare nella personalità dell’individuo che sta soffrendo, in come ha condotto la sua esistenza, nel senso che ha dato a tutto ciò che lo ha portato a combattere… anche la vita di tutti i giorni, non necessariamente grandi battaglie!
Esiste veramente questo tipo di depressione che si manifesta dopo il parto?
E’ innegabile che una mamma, dopo lo stress del parto resti scombussolata (per il “prima” dell’evento, nel “durante” l’evento, in tutto quello che resta per il “dopo” l’evento). D’altronde, per ogni evento nuovo noi notiamo dei cambiamenti che ci creano confusione interiore: basta cambiare casa, cambiare lavoro, cambiare città.
E quando ti si “presenta tuo figlio? Un nuovo figlio? Di sicuro, cominci a sentire tante responsabilità… cosa farai? Ti sentirai frastornata! Poi aggiungiamo lo stress di tipo ormonale, perchè si cambia assetto anche da quel punto di vista…
E allora, sarà una depressione post partum o sarà uno scombussolamento post partum, che si può affrontare nel migliore dei modi e, poi, alla fine di tutto questo sistema, ritrovarsi migliori? Infatti, un genitore, quando, in seguito, diventa nonno e vede un figlio o una figlia preoccupato o preoccupata perchè non sa come fare, guarda non dall’alto in basso, ma dall’alto della sua esperienza e conclude: “Non ti preoccupare, i problemi nella vita sono altri, non sono questi; da qui scaturiranno una serie di gioie e di preoccupazioni che ti faranno apprezzare ancora di più”.
In questa immagine dal sapore antico, notiamo una signora che può essere una mamma, una nonna, una maestra… e dei bambini che possono essere i suoi figli, i suoi nipoti, i suoi scolaretti. Questi bambini hanno un fiore in mano e glielo portano. Ogni bambino aspetta con gioia, con ansia, con un pò di apprensione, il momento in cui porterà il fiore a questa signora, che mostra di apprezzarlo.
Cosa significa?
Che quando noi sappiamo di dover fare qualcosa, possiamo preoccuparci, possiamo sentirci per un pò non all’altezza della situazione, comunque ci diamo da fare per rispondere al meglio a questa esigenza. Ci stressiamo, perchè, come abbiamo visto, lo stress è una risposta a tutto quello che ci viene chiesto dal mondo esterno (o da noi stessi), per cui acceleriamo le nostre dinamiche mentali e organiche e facciamo fronte a quello che ci si aspetta.
Quando nascono i problemi, soprattutto per la mamma?
Dal momento in cui questa mamma, che durante la gravidanza ha avuto comunque un ruolo indispensabile, che è stata al centro dell’attenzione, che è stata protetta, è stata accudita (almeno così ci si augura), dal medico, dal proprio partner, dai propri genitori dal mondo circostante… dopo che il bambino viene al mondo cosa può osservare e capire?
Può darsi che questa mamma perda un pò quel ruolo di prevalenza che aveva prima. Dico “può darsi” perchè se ci si è preparati adeguatamente, quel ruolo rimane, anzi viene amplificato, perchè si lavora, poi, in tre: il papà, la mamma e il bambino. In determinate circostanze il papà può non esserci e ci si augura che verrà surrogato da qualcuno che darà una mano per supplirà nel migliore dei modi.
Quando, come spesso accade, le attenzioni si rivolgono, ad un certo punto, prevalentemente verso il nuovo arrivato, allora, di sicuro la mamma non entra in competizione col figlio, e neanche forse si sente trascurata, però sente di non avere più il ruolo di prima e, allora, può darsi che abbia un momento di abbattimento che, sommato agli scombussolamenti ormonali e ai necessari adattamenti relativi ad un nuovo modello di vita, può portare a degli stati di abbattimento; da qui, comunque, nasceranno dei momenti di necessità che servono per recuperare le forze che ha impiegato durante la gravidanza e durante il parto, per cui avrebbe bisogno (proprio lei, la mamma) di maggiori attenzioni, considerazione, comprensione…
…mentre, di solito, cosa accade?
Ci si aspetta che sia già pronta a fare la mamma a tutto tondo, ad accudire il bambino, a riprendere a sbrigare tutte le faccende di casa, a ritornare a lavoro. Tutto questo spaventa, tutto questo stressa, tutto questo può abbattere.
In questa immagine, in alto a sinistra il bambino di prima (o la bambina di prima)… ha ancora il fiore in mano, ma a chi lo darà? Sente di non poterlo donare a nessuno, per cui si ripiega su se stesso, o su se stessa, in attesa che qualcuno passi a dare una carezza, a prendere quel fiore, a camminare accanto… e se questo non accade, possono determinarsi degli eventi, delle situazioni come quello che vediamo in basso a destra: una mamma che sembra proprio una bambina, in un angolo, lontana dalla culla (ci sarà un bambino, sarà vuota? Non lo sappiamo!). Vorrebbe sentire (quell’essere umano che sta spalle al muro) considerazione, ringraziamento per aver portato avanti un lavoro, sicuramente estremamente impegnativo e, invece, si sente abbandonato. Senza considerazione alcuna.
A queste condizioni, evitiamo di entrare all’interno di stereotipi per cui, quando una mamma è stanca “è depressa post partum”; quando perde la pazienza “è depressa post partum”! Piuttosto, è un essere umano e, come tutti, ha delle variazioni del tono dell’umore, in base ad una serie di fattori.
Prima di dire Depresso”, sarebbe opportuno considerare in maniera appropriata tutto quello che accade, evitando di apporre delle etichette, anche perchè poi ci si condiziona, ci si suggestiona e si entra in un circuito dal quale si può anche venir fuori… però bisogna faticare in maniera considerevole!
Quando un sistema funziona bene? Quando, non necessariamente deve condurre a risultati eccezionali o a delle vittorie o a star sempre sorridenti: si soffre, si piange, si battono i pugni sul tavolo…. L’importante è che si lavori insieme, sapendo cosa ci riserva il giorno dopo, lo stesso giorno, partendo dal giorno prima! Ecco, a queste condizioni, come dicevo prima, non c’è motivo, ma non c’è neanche tempo di essere depressi. Si è stanchi, si riposa a turno, ci si dà da fare.
E quindi, una volta spiegato cosa accade, com’è meglio affrontare questo tipo di manifestazione, di depressione post partum?
Dove si genera, in fondo, il disturbo che possiamo, a volte, definire depressione? In diverse zone del cervello (come risultato sinergico e morfo-funzionale): per comodità didattica, si può immaginare che avvenga nella zona azzurra di questa immagine.
In quella zona di cervello, quante cellule ci sono, quali cellule ci sono? Abbiamo una cellula in azzurro scuro, turchese, quella è una cellula astrocitaria, che ha un contatto diretto col neurone. Vediamo che ha un prolungamento con quella cellula più grigia (leggermente in basso a sinistra) che è il neurone e, vicino all’astrocita, c’è un capillare sanguigno. L’astrocita prende ossigeno e nutrienti dal capillare e attiva il neurone.
In basso (sempre nella stessa immagine), ingrandito nel riquadro con lo sfondo verde, abbiamo la zona delle sinapsi, dove avviene la trasformazione del segnale elettrico in segnale chimico: è lì che agiscono i farmaci, ma è anche lì che ci sono delle propaggini dell’astrocita. Siccome è l’astrocita ad attivare il neurone, è abbastanza intuitivo concludere che moduli l’attività della sinapsi.
Che cosa si vuole significare?
La cellula da cui pare origini l’attivazione del neurone, possiamo concludere che sia una cellula in cui, maggiormente, si attiva la modalità di pensiero e, quindi, “manda a dire” al neurone qualcosa che poi, attraverso i suoi impulsi elettrici e, soprattutto, la modulazione degli impulsi elettrici, a livello di sinapsi, ci fa consapevolizzare quello che percepivamo.
Quindi, forse, la nostra vita, effettivamente, viene consapevolizzata a livello di sinapsi, lì dove agiscono i farmaci. Ma, se per caso l’astrocita non è d’accordo con quello che i farmaci stanno cercando di fare, cioè rimettere in asse alcuni neurotrasmettitori, tra cui la serotonina, che è responsabile della stabilizzazione del tono dell’umore, può darsi che cambi il modo di far assumere quel farmaco, o far emettere il neurotrasmettitore, o farlo riassorbire.
Quello che voglio dire è che l’idea di somministrare psicofarmaci è corretta (anche se, siccome siamo parlando del post partum bisogna agire con molta cautela, dal momento che potrebbero finire nel latte materno e assorbiti dal bambino) però, se qualcosa non cambia nella vita della mamma o nella vita del sistema, ancora meglio, è estremamente probabile che la problematica non si risolva, perché è un lavoro di insieme. Se tu sai quello che devi fare, salvo circostanze veramente particolari, non serve assumere soltanto un farmaco, il quale sicuramente agirà sul sintomo, ma difficilmente sulle motivazioni. A quelle condizioni, La cellula che controlla neurone e sinapsi, “inattiva”, sostanzialmente, l’azione del farmaco, rendendolo inutile!
E analizziamo questa ultima immagine. L’ideale sarebbe partire da quel fotogramma che è un “negativo” (una donna in negativo), passare attraverso un crepuscolo che diventa un’aurora, un’alba, per poter scendere in basso a ritrovare la gioia della mamma col proprio bambino.
Il sole muore già e, di noi, questa notte avrà pietà! Dei nostri giochi confusi nell’ipocrisia, il tempo ruba i contorni a una fotografia. Il vento spazza via questa nostra irreversibile follia! Chi sa se il seme di un sentimento rivedrà la luce del giorno che un’altra vita ci darà? Resta, amico, accanto a me… resta e parlami di lei se ancora c’è! L’amore muore disciolto in lacrime ma, noi, teniamoci forte e lasciamo il mondo ai vizi suoi. Io e te lo stesso pensiero, io e te il tuo il mio respiro! Sarà tornare ragazzi e crederci ancora un po’… sporcheremo i muri con un altro no! E vai, se vuoi andare avanti perché sei figlio dei tempi ma, se frugando nella tua giacca, scoprissi che dietro il portafoglio un cuore ancora c’è… amico cerca me! E ti ricorderai del morbillo e le cazzate tra di noi! La prima esperienza fallimentare che era lei… amico era ieri, le vele le hai spiegate ormai! E tu, ragazza pure tu, che arrossivi se la mano andava giù! Ritorna a pensare che sarai madre… ma di chi? Di lui che è innocente che non si dica: figlio di…! Io e te lo stesso pensiero, io e te il tuo… il mio respiro. Che fai, se stai lì da solo? In due più azzurro è il tuo polo! Amico è bello, amico è tutto, è l’eternità, è quello che non passa mentre tutto va… amico, amico, amico… il più fico, amico, è chi resisterà.
Chi resisterà? Chi di noi, chi di noi resisterà?(Amico – Renato Zero)
G. M. – Medico psicoterapeuta
Si ringrazia Erminia Acri per la collaborazione offerta nella stesura del dattoloscritto
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
Pagina personale
Canale youtube: