In questo lavoro, così come negli altri della medesima sottosezione, si riportano estrapolati di colloqui analitici, finalizzati ad affrontare argomenti di interesse pubblico. L’operazione, con il consenso degli interessati, rispetta tutti i dettami della legge sulla Privacy ed i principi del rispetto e della correttezza professionale.
BUONA LETTURA
Caro Dottore, Lei mi spiega spessissimo l’importanza di imparare ad adattarsi, ma io ho ancora molte difficoltà a mettere in atto le sue indicazioni e mi sto convincendo che si potrebbe vivere bene solo se la Società fosse composta prevalentemente da persone mature e corrette, essendo eccessive le difficoltà e le frustrazioni che quotidianamente incontro nei rapporti con gli altri. Eppure, so che non posso avere la presunzione di cambiare il mondo e che è necessario integrarmi in esso per riuscire a vivere… ma come ci si integra in un “sistema” illogico, senza subire?
Cominciamo a stabilire un distinguo fra l’assoluto e il relativo. Non è possibile integrarsi completamente nemmeno in un contesto paradisiaco, perché le proprie esigenze sarebbero differenti da quelle degli altri “cherubini”.
Ognuno ha la propria personalità, infatti.
Brava!
E allora?
E allora, come abbiamo già avuto occasione di dire in altre occasioni, in un ambito sociale “differenziale” (come le scuole di una volta, destinate agli oligofrenici, alias, ritardati mentali) si può operare con l’obiettivo di un inserimento programmato; l’integrazione sarebbe controproducente.
Perché? Che differenza c’è fra inserimento ed integrazione?
L’inserimento prevede rapporti costruttivi, finalizzati alla realizzazione di interessi comuni; l’integrazione porta a “far parte” di un contesto, in maniera “totale”.
Partendo dai significati forniti dal dizionario dei termini adattamento (processo per cui gli esseri viventi si adeguano morfologicamente e fisiologicamente alle condizioni ambientali), adeguamento (l’adeguare, cioè rendere congruo, adatto, proporzionato) e subire (essere costretto a sopportare, contro la propria volontà, qualcosa di sgradito, di gravoso), come vanno intesi gli stessi, rapportati all’essere umano?
Ora le confesserò un segreto “tecnico”.
Mi dica…
Quando vuole scoprire il vero significato di un vocabolo, non lo cerchi direttamente sul dizionario della lingua italiana…
A no?
E no!
E perché?
È presto detto. Avrà notato che i termini adattamento e adeguamento, per come vengono descritti, sembrano sinonimi.
Si, è vero.
Ma che senso avrebbe avuto coniare termini differenti, con una radice etimologica diversa, per poi identificarli con un significato comune? Glottologicamente, sarebbe stato un “lavoro” incongruo!
Ha parlato di radice etimologica, vuole spiegarmi meglio, per favore?
E brava, ha colto nel segno! Prima di ogni cosa, è utile usufruire di un buon dizionario “etimologico”. Solo cercando la derivazione di un vocabolo, si capisce da dove è nata l’esigenza di coniarlo e, quindi, si può identificare l’esatto significato. Ad esempio, adattamento, deriva dal latino “Ad – aptare”, che significa, accomodare, aggiustare convenientemente. Il termine adeguamento viene dal latino “ad equare”, cioé, rendere equo, pareggiare i conti, a qualsiasi condizione. Con subire, invece siamo sostanzialmente d’accordo con quanto ha trovato lei. È evidente che esiste una notevole differenza fra i due elementi di cui stiamo parlando. Mentre l’adeguamento prevede la necessità di far fronte ai cambiamenti (richiesti dal mondo esterno) “ad ogni costo”, anche subendo, l’adattamento, invece, consiste nel realizzare le migliori condizioni (all’interno di sé) per rispondere alle mutazioni ed alle richieste che provengono da “fuori”, realizzando continuamente nuovi equilibri interiori che riducono gli scombussolamenti relativi alle modifiche delle proprie abitudini di vita. In conclusione, possiamo affermare che ogni specie animale o vegetale ha necessità di adeguarsi al mutare degli eventi e delle condizioni ambientali, per poter sopravvivere: questo può avvenire riuscendo ad adattarsi (e si vive bene) oppure subendo gli eventi (e si producono sofferenze). Come sosteneva Bertolt Brecht, “Quando ci si trova davanti un ostacolo, la linea più breve tra i due punti, può essere una linea curva”: l’importante è riuscire a percorrerla come se fosse un percorso particolarmente agevole.
Se è il pensiero a consentire gli adattamenti, inducendoci anche a fare cose non logiche, non rischiamo di soffrire, prima, e magari, poi, di ammalarci?
Un attimo… nel momento in cui approntiamo una strategia efficace ai fini dell’adattamento alle difficoltà a breve, medio e lungo termine, dovremo necessariamente aver fatto i conti con scelte utili, corrette, remunerative (nei limiti del possibile) e, di conseguenza, logiche; se così non fosse, al massimo riusciremmo ad adeguarci, subendo e, ovviamente, accelerando (inconsapevolmente) i processi di invecchiamento metabolico.
Entro quali limiti è possibile all’essere umano l’adattamento, quotidianamente e a medio e lungo termine? In proposito Le vorrei fare due esempi di situazioni in cui ho ritenuto di poter adattarmi ma, poi, in realtà, ho subito. Il primo riguarda un episodio di poca rilevanza, ma frequentemente riscontrabile: qualche giorno addietro mi sono accorta di dover pagare il bollo auto e sono andata alla ricerca di un Tabaccaio abilitato. Trovato il ricevitore autorizzato, mentre effettuavo il pagamento (circa 10 minuti) sono stata costretta a respirare il fumo delle sigarette di due persone, entrate subito dopo di me (il locale era piccolissimo)….al momento ho dovuto scegliere se andarmene, chiedere ai due fumatori di uscire o non dire nulla. Ho preferito restare (perché era in corso l’operazione via computer) e non dire nulla, poiché temevo di ricevere un fastidio aggiuntivo per l’eventuale reazione da parte dei fumatori, i quali non avevano un’aria tranquilla; però, poi, mi sono sentita disgustata ed infastidita, perché, in realtà, non sono riuscita ad adattarmi, ma ho subito? In casi del genere ci si può adattare o si subisce e basta?
L’altra situazione ha maggiore rilevanza perché riguarda il mio lavoro: alcuni mesi fa ho stipulato un accordo di collaborazione con un ente che sta godendo dei vantaggi dell’accordo senza darmi nulla in cambio. Per circa 9 mesi sono stata in “attesa”, ma ora ho deciso di andare a chiarire le cose con il rappresentante dell’ente per cui, o cambiano i termini dell’accordo, o la collaborazione cessa. Si tratta, quindi, di una situazione dalla quale uscirò a breve…eppure, invece di sentirmi sollevata, mi trovo delusa ed arrabbiata per aver fatto un investimento improduttivo ed aver ricevuto frustrazioni e mortificazioni da soggetti molto scorretti. Questo è dovuto a mie difficoltà ad adattarmi, oppure, oggettivamente, non ci si può adattare a certi ambienti e a certi personaggi?
Cominciamo ad esaminare la prima “disavventura”. Sarebbe bastato spiegare al titolare della ricevitoria che avrebbe aspettato fuori la fine dell’operazione che la riguardava. Per non urtare la suscettibilità di nessuno, si sarebbe potuta addurre, come motivazione, un’inesistente irritazione bronchiale. Questi sono i casi in cui, per adattarsi, è necessario sfruttare argomenti nei confronti dei quali si è sensibili. Molto probabilmente, i due fumatori avrebbero spento le sigarette scusandosi, addirittura.
Per quanto riguarda, invece, la seconda situazione, si può dire che l’ha già risolta, decidendo di andare a chiarire. Il suo malumore è legato all’inesperienza. Di fronte a certi personaggi, bisogna agire con risolutezza, dopo aver dato loro qualche occasione per mostrarsi “utili”.
Quali accortezze bisogna usare, quotidianamente, per compensare lo squilibrio che comportano gli adattamenti?
Se l’adattamento è avvenuto correttamente, non c’è molto da compensare, perché sono stati rispettati degli equilibri di fondo.
Qual è il rapporto tra adattamento ed elasticità?
Direttamente proporzionale. Solo chi è flessibile e poco suscettibile riesce ad adattarsi: gli altri potranno, al massimo, tentare di adeguarsi.
Come bisogna regolarsi quando la necessità di adattarsi riguarda il rapporto con familiari o, comunque, persone cui si è legati affettivamente e che possono danneggiarci?
Partendo dal solito principio che prevede la costruzione delle migliori condizioni possibili, in caso di adattamento, bisogna ricordarsi che, aiutare i propri familiari, porta a buone soddisfazioni personali; ovviamente, nel caso in cui qualche “consanguineo” dia particolari problemi, è necessario ricordarsi che ognuno ha il dovere di tutelare, prima di tutto, se stesso, senza troppi sensi di colpa. Come diceva un vecchio adagio: “Se non sei parte della soluzione, allora sei parte del problema”.
Tutto molto chiaro, come al solito, d’altronde…
Non mi chiede di salutarla con il solito aforisma?
Certo, con piacere!
Vediamo un po’… si, ci sono!
“Dove ci sono motivazione e grande volontà non possono esserci grandi difficoltà”. (Niccolò Machiavelli)
G.M. – Medico Psicoterapeuta
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
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