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Chi era Renato Caccioppoli? Era un Byron, un Oscar Wilde, un dandy, un personaggio uscito dai Demoni di Dostoevskij, un D’Annunzio con in più il dono dell’humour, o forse semplicementi un seduttore. Certo è che, almeno per quanto mi riguarda, riuscì a conquistarmi al primo sguardo. Avevo diciassette anni e stavo ancora in terza liceo. Un giorno, un amico, già universitario, mi propose di accompagnarlo in via Mezzocannone. “Oggi c’è Caccioppoli, vedrai che ti piacerà” E difatti così accadde: rimasi folgorato. Quello stesso giorno decisi che non mi sarei più iscritto a Filosofia, bensì a Ingegneria. Lui, il matematico ammaliatore, mi aveva inculcato il bisogno irreprimibile di vederlo ogni giorno, e ancora oggi, quando voglio vantarmi di qualcosa, dico: “Ho fatto Analisi e Calcolo con Caccioppoli!” Poteva non aver dormito, essersi sporcato durante i suoi giri notturni per la Napoli dei Quartieri, aver bevuto come un soldato americano, era sempre elegante. Mentre faceva lezione, le sue mani disegnavano l’aria e, contemporaneamente, i concetti matematici volavano per l’aula illuminando il buio della nostra ignoranza. In Caccioppoli il parallelismo tra entità numeriche e note musicali era sempre presente. Due episodi per ricordarlo: un giorno alcuni giornalisti gli chiesero quale fosse la frase più importante che era mai stata detta al mondo. All’inizio lui si schernì: disse che così su due piedi non se la sentiva di stabilire quale fosse davvero quella più importante. Poi, dietro l’insistenza di tutti, si mise a pensare: chiuse gli occhi e restò in silenzio per circa tre minuti, forse quattro. Noi tutti non respiravamo. Alla fine, se Dio volle, alzò la testa e disse con tono grave e sussiegoso: “Al cuore non si comanda”. Un’altra volta lo accompagnammo ad un comizio comuni9sta in piazza Vanvitelli. Eravamo nel ’48, l’anno del Fronte Popolare. Lui salì sul palcotra unha selva di bandiere rosse. La banda suonò l’Internazionale e un dirigente del PCI lo presentò alle masse: “E ora, ecco a voi il compagno Caccioppoli!” Applausi scroscianti. Il professore prese il microfono e cominciò a dire: “Chi è il più grande criminale vivente? È Giuseppe Stalin!”. Dopo di che invitò i presenti a non confondere la bellezza dell’idea comunista con la disonestà di coloro che, solo per fini di potere, se ne erano appropriati. (Luciano de Crescenzo – Il caffè sospeso -Mondadori Ed. – Milano 2008)

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Caro Dottore, come posso fare per costruire un vita felice?

Oltre quello che ha potuto acoltare dalle mie spiegazioni, posso fornirle queste altre indicazioni:

  • porsi domande “intelligenti”;
  • cercare risposte adeguate;
  • applicare nella vita quotidiana i risultati delle proprie riflessioni;
  • fare tesoro delle esperienze conseguenti;
  • mantenere il gusto verso il nuovo… così come fanno i bambini!

In che modo si riesce ad ottenere l’essenzialità nella vita, invece di “perderci” in direzioni che ci conducono lontano dal fine prefissato?

Come vede, sono sempre domande interessanti… proviamo a rispondere.

Nel momento in cui si riesce a capire cosa significa dare un valore alla propria esistenza, si “entra” nelle “stanze” dell’autoaffermazione
e dell’autostima
. Da quel momento in poi, si avrà la certezza di osservare correttamente le leggi di natura. In questo modo, dopo aver appagato i bisogni indispensabili, si riescono a costruire in breve tempo, ma senza darsi fretta, i presupposti per una vita qualificante che non comporti un dispendio eccessivo in termini di impegno complessivo (tempo, soldi, fatica, etc.), che consenta di godere di tutte le tappe intermedie, rendendo possibile, altresì, il prefigurare mentalmente il soddisfacimento che si otterrà, una volta raggiunto l’obiettivo… che poi è quello di una vita piena e concreta. Se non riusciamo a conoscere ed a “vivere” il concetto di autoaffermazione ed autostima, non potremo cogliere l’essenzialità.

Molte volte ci poniamo degli obiettivi, ma le difficoltà quotidiane ci fanno perdere la “bussola”, come mai?

Questo accade quando non siamo sufficientemente maturi perché, altrimenti, la logica di cui ognuno è dotato fungerebbe da bussola orientata verso le Leggi di Natura, in grado di portarci al soddisfacimento di elementi importanti e qualificanti, nonostante tutte le deviazioni che la quotidianità ci impone.

E come se facessimo questo esempio:

Per andare da Cosenza a Roma, pur avendo a disposizione l’autostrada, a causa di incidenti o di lavori in corso, siamo costretti a deviare su strade statali, urbane ed extraurbane. Nonostante tutto, potendo contare su una cartina geografica, una bussola o un navigatore satellitare a bordo dell’auto, riusciremmo tranquillamente ad arrivare a destinazione. Senza l’opportunità di questi ausili e non disponendo di una valida segnaletica stradale (come in effetti, purtroppo, avviene) finiremmo per perderci nell’entroterra calabro – lucano. Il problema non è dato dalle difficoltà del percorso, ma dalla capacità di sapersi orientare, grazie alle coordinate fornite dagli strumenti di cui ho parlato prima.

Essere in equilibrio con se stessi “significa” poter contare su un’elevata possibilità di utilizzare le proprie capacità in maniera lucida e razionale; ma come si fa, in genere, a dosare le proprie energie?

È una cosa non troppo difficile, bisogna prepararsi attraverso lo sviluppo di buoni elaborati di pensiero e corrette riflessioni, grazie ad un sistema educativo efficace. Se cresciamo in una famiglia dove riceviamo degli esempi di savoir vivre o di savoir faire, non avremo nessuna difficoltà nel metterli in atto, non fosse altro che per un meccanismo di imitazione o identificazione; se, invece, ci imbattiamo in ambienti sfavorevoli da questo punto di vista, allora avremo bisogno di altri esempi o di studi specifici che ci aiuteranno a costruire le nostre condizioni corrette, al fine di poter gestire bene qualitativamente le sfaccettature del nostro animo.

In che modo ci si riesce a concentrare, per applicare al meglio la propria mente?

Parliamoci chiaro, al contrario di quello che si dice in giro… non esiste una tecnica specifica, esiste un’educazione al corretto uso della personalità, che poi è quello che sta imparando anche lei a fare, attraverso questo percorso analitico.

Essere concentrati a lungo, potrebbe produrre mal di testa?

No, perché sai quando è arrivato il momento di fermarti. In effetti, ci si concentra nel momento in cui si riducono le dispersioni dell’attenzione distribuita in troppi “rivoli” e la si conduce verso un punto specifico di interesse. Ecco perché è bene educarsi a saper vivere, perché noi abbiamo a disposizione degli strumenti potenti che usati male ci produrrebbero dei danni. Dopo aver imparato, diventa tutto naturale.

Fin dalla nascita siamo legati ai nostri genitori… ma arriva un momento nella nostra vita, che non vogliamo più dipendere da loro, dalle loro scelte o dai loro pensieri e decidiamo di andare via di casa. In che modo cambia, secondo lei, la nostra esistenza e le nostre preoccupazioni? Aumentano i problemi?

È indubbio che aumentino le responsabilità e, di conseguenza, le problematiche. Nascono frustrazioni di tipo organizzativo nella gestione della casa e del proprio tempo libero. L’importante è che aumentino anche le nostre capacità nel saper risolvere tutto questo. Dobbiamo imparare a vedere i problemi come opportunità per crescere, nel momento in cui “sbrogliamo” la matassa. Vivere al riparo dalle difficoltà, significa crescere in maniera handicappata. Preparandoci ad affrontare i problemi diventeremo talmente validi che, gli ostacoli “impossibili” per gli altri saranno, per noi… normale amministrazione.

Non c’è un distacco dalla famiglia?

Appagare il bisogno di realizzare la propria autonomia, non comporta una rottura con i propri genitori, ma solo una ridistribuzione di tempo ed energia, che verranno impegnate maggiormente in nuovi obiettivi. La vecchia concezione psicologica prevedeva che, per crescere, fosse necessario interrompere traumaticamente e definitivamente i legami con la famiglia d’origine, soprattutto con la madre: questo non è vero, perché non è necessario rinnegare chi ti ha dato la vita, sarebbe una soluzione di tipo aggressivo e sicuramente non matura. È più opportuno, semmai, costruire un’autonomia che ti metta al riparo dalla dipendenza e ti consenta, al tempo stesso, di apportare alla tua mente, nuovi messaggi e nuove esperienze.

Molte volte penso a cosa può riservarmi il futuro e molte volte, questo mio pensare, mi provoca tanta ansia: come mai? Sono le insoddisfazioni dell’Oggi che mi provocano questo disagio?

Si, sono le frustrazioni legate alla sua condizione attuale a crearle fastidio, perché si frappongono fra lei ed il benessere. L’ansia deriva dalla paura di non aver opportunità di realizzazione: ecco perché è importante anzitutto autoaffermarsi, in altre parole equilibrare in maniera corretta la personalità… e poi sapere estendere le proprie capacità nel mondo del lavoro, così da non dipendere da “elemosine” lavorative altrui, ma poter essere in grado di costruire il proprio avvenire, con la propria mente e con le proprie mani! Operando in tal senso, l’ansia si traduce in una tensione d’attesa nel frattempo che le cose girino al meglio, ma non più in paura di non riuscire.

Entriamo nel dettaglio. Non avendo, lei, intenzione di aprire un suo vivaio, per il quale sarebbe qualificato per gli studi che ha fatto, si è messo in una condizione d’attesa carica di ansia e di paura, in cui impegna il tempo guardando opportunità lavorative verso le quali non è pronto. Questo le crea insicurezza, perché non ha una base solida su cui poggiare. In qualunque attività lavorativa è fondamentale la preparazione di base teorica, perché nulla si inventa… dal nulla! Contrariamente a quello che si pensa, la pratica non fa… la grammatica, semmai la può impreziosire di sfaccettature importanti e personali. Le faccio un esempio personale. Io ho iniziato la mia attività specialistica, verso la fine del 1994, dopo 4 anni di specializzazione (cui vanno sommati i 6 anni di laurea in Medicina) e, per altri 4 anni, ho avuto la consulenza diretta e settimanale, del direttore della mia Scuola di Specializzazione, il famoso Dr. Giovanni Russo. Questo vuol dire che, nel momento in cui ho cominciato a lavorare come psicoterapeuta, potevo contare su un considerevole bagaglio di preparazione.

Ma scusi, questo vuol dire che, nel frattempo, l’esperienza non l’ha migliorata?

È ovvio che, oggi, io sia molto migliore rispetto al passato. Questo è accaduto in quanto, anzitutto, continuo a studiare moltissimo e, poi, perché l’esperienza mi arricchisce costantemente.

Avere il tempo impegnato, molte volte equivale a non pensare in modo negativo. Come possiamo, allo stesso tempo, creare un giusto equilibrio psichico?

Ognuno di noi per avere una vita equilibrata, ha bisogno di “Insemenzare” la propria vita fra un’attività lavorativa che gli impedisca di annoiarsi, degli affetti per irrigare i sentimenti positivi e del tempo libero da gestire per pensare meglio a se stesso. All’interno di questi tre aspetti importanti, bisogna creare degli equilibri, che sono personali, non possono essere indicati in maniera rigida e variano nel tempo. Per esempio, io ho dato molto spazio, fino al termine della mia formazione postuniversitaria, agli studi ed alla mia attività professionale. Ormai (senza trascurare il mio lavoro) sento l’esigenza di dedicare più attenzioni alla mia famiglia per godere della mia partner e per imparare molto dalle mie figlie le quali, spesso, mettono a nudo le mie tante lacune ancora presenti. Inoltre, cerco di ritagliarmi dei momenti per ricordarmi di essere un uomo “normale” e non una macchina. Il tutto, senza trascurare lavoro e studio.

Caspita! E come fa?

Come le dico spesso, tutto si impara. Prima di imbattermi negli studi che mi hanno portato ad essere quello che sono, vivevo prevalentemente di rimorsi e frustrazioni. Oggi, avendo capito che tutto ruota su un perno alle cui estremità troviamo lavoroaffetti e tempo libero, sono in grado di svolgere un’attività professionale che tende a diventare a 360 gradi (libero professionista, giornalista, docente universitario, consulente di programmi televisivi, responsabile di un importante centro di sviluppo e gestione di risorse umane, ricercatore scientifico, etc.), di apprezzare (quando non sono molto stanco) chi mi vuole bene e mi stima… e di vivere a dimensione umana.

Cosa vuol dire?

Che mi piacciono la Natura, le auto veloci ed una vita comoda…

Un uomo fortunato… insomma!

Se lei avesse condiviso le difficoltà ed i sacrifici dei miei ultimi vent’anni, non la penserebbe così.

Scusi… ma lei, in fondo… chi è?

Per dirla alla Luciano de Crescenzo, un uomo d’amore che apprezza la libertà e il benessere interiore.

Ed è disponibile a pagarne il conto… quale che sia il “giusto” prezzo.

Si ringrazia Giuseppe Dattis per la formulazione delle domande e Adelina Gentile per la collaborazione nella stesura del dattiloscritto