Il nuovo “manifesto” della psicoterapia. Secondo me.
Riflessioni – 25
“Prendersi cura di una risorsa rara, significa costruire il futuro dell’energia e, in definitiva, del genere umano”.
Si narra che, nell’antica Grecia, fosse opinione diffusa che gli Dei provassero invidia nei confronti degli esseri umani. Questa situazione, apparentemente paradossale, era giustificata dal fatto che, secondo gli abitanti dell’Olimpo, gli esseri terreni, in virtù di un’esistenza definita nel tempo, dessero maggiore importanza al tempo a disposizione riuscendo, in tal modo, a trarre un godimento ben più remunerativo di qualsivoglia baccanale organizzato dal Dio Dioniso (Bacco, per i Romani).
A riprova di ciò, la mitologia è piena di racconti che riportano avventure “galanti” ordite dai divini, ai danni dei comuni mortali. La più rappresentativa, anche se non altrettanto famosa, riguarda il concepimento di Ercole. Zeus, approfittando del fatto che Anfitrione (monarca di Tebe) fosse andato a combattere contro i Taleboi (popolo di feroci briganti) si presentò di notte da sua moglie Alcmena spacciandosi per il legittimo consorte. Avendo dato ordine alle Ore di fermare il tempo (staccando i cavalli del Sole, per impedirgli di sorgere), il Dio “approfittò” della regina di Tebe, per quattro giorni consecutivi: da questa unione così “focosa” nacque, appunto, Ercole.
“Fra speranza e affanni, fra timori e rabbia, immagina che l’alba di ogni giorno sia l’ultima per te: le ore che seguiranno e non speravi più, saranno tutte un incanto” (Orazio Flacco).
In un’epoca storica caratterizzata dalla presenza di tensioni conflittuali che determinano un’autentica confusione del vivere, il ruolo sociale, individuale e personale della psicoterapia assume connotazioni di alto profilo preventivo, curativo ed evolutivo.
Attualmente, lo psicoterapeuta, in Italia, può essere un medico oppure uno psicologo, che abbia seguito un corso di Specializzazione presso scuole di specializzazione postuniversitaria riconosciute dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica della durata di 4 anni.
Questa razionalizzazione normativa se, da una parte, garantisce uno standard più o meno uniforme di preparazione, dall’altra risulta essere un po’ restrittivo perché, per avere un professionista adeguatamente preparato, necessitano almeno 10 anni di “impegno” in termini di studio e di esperienza sul campo perché, per poter essere veramente utile come personal trainer sul piano della personalità, è necessario che ci si occupi, tra l’altro, delle ricerche approfondite sulla conoscenza della nostra mente, comparando il tutto con gli elementi basilari dei principi di economia che governano i rapporti fra gli individui e orientano la spendibilità dell’esistenza umana. Il tutto, con l’obiettivo di consentire ad ognuno, la possibilità di acquisire informazioni utili al fine di realizzare una vita sana, integrata nella Società di appartenenza, nel rispetto (il più possibile) di quei principi che rendono possibile una vita equilibrata e “a dimensione umana”.
Quella che la condizione di realtà contemporanea rende evidente, è la necessità di valorizzare l’evoluzione dell’attività “analitica” la quale, da classica attuazione di rimedi nei confronti di disturbi riportati da ogni testo classico di clinica psichiatrica,(nevrosi di vario genere) è necessario che diventi un’interazione sociale e individuale, in grado di esplicare una funzione terapeutica pianificata, mirante ad ottimizzare l’autogestione della personalità.
La figura del terapeuta, di conseguenza, deve assumere il ruolo di Counselor, nel senso di stimolatore per una valorizzazione dei propri potenziali inespressi, con una posizione oggettiva, autorevole e priva di pregiudizi.
La psicoterapia rappresenta una forma di interazione sociale in grado di esplicare una funzione terapeutica sulla base del coinvolgimento specifico dei “partecipanti” e, di fatto, può essere definita scientificamente come un trattamento interpersonale pianificato, avente come scopo, non più solo quello della cura dei disturbi psichici ma, semmai, soprattutto quello di fornire risposte adeguate ai disadattamenti conseguenti alla confusione ingenerata da una Società che propone per lo più, stimoli contrastanti che spingono a “spendere” il proprio arco temporale in maniera incongrua, al punto tale da demotivarsi di fronte alle sfide del quotidiano e “sentire” la vita come un’incombenza da sbrigare nel più breve tempo possibile.
In sostanza l’analisi personale, attraverso mezzi psichici, “deve” porsi come obiettivo l’ottimizzazione e l’autogestione della personalità dell’analizzato che non va inteso (come accadeva nel passato) come un “nevrotico sic et simpliciter” (perché, altrimenti, tutti dovremmo ascriverci a tale condizione) ma, semmai, come qualcuno intenzionato a capire come prendere in mano, inequivocabilmente, le redini della propria esistenza terrena e trasformarsi, da spettatore passivo, in soggetto consapevole e responsabilmente in grado, volendo, di poter andare “oltre”.
Le teorie da cui derivano i diversi modelli psicoterapeutici rispecchiano le percezioni, le riflessioni e le valutazioni di un osservatore della realtà che, per quanto epistemologicamente valido ed oggettivamente logico rispetto alla realtà che lo circonda, non può non essere condizionato, appunto, dal contesto sociale, culturale e storico di appartenenza. In conseguenza di ciò, si comprende facilmente che nessuna singola teoria e pratica psicoterapeutica, può universalmente definirsi valida in toto per rispondere alle esigenze di “quella trottola impazzita che affossa benessere e aspirazioni e che risponde al nome di Società contemporanea” (Eugenio Scalfari).
L’ora di punta.
“A volte le buone idee arrivano dalla strada. Un giorno, passeggiando per Roma nel fitto via vai di tante facce, ho concluso che, confuso tra loro, ci sarebbe stato sicuramente qualcuno privo di scrupoli, pronto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi”. L’ora di punta. Non a caso scelta dal regista Vincenzo Marra (figlio di uno psicoanalista) come titolo del suo nuovo film, in gara alla mostra del cinema di Venezia del 2007 e presentato sugli schermi di tutta Italia. Si racconta di un rampante senza qualità, divorato da un’ambizione senza confini. La smania di modificare lo status sociale e di arricchirsi, non è una novità dei nostri tempi. Quello che sembra essere diverso, è la brama di apparire, l’ossessione di venir fuori da un anonimato ritenuto intollerabile. Questa sindrome da “signor nessuno”, nasconde, in realtà, una profonda insicurezza.
Nel tempo, la risposta a questa problematica si è concretizzata nella ricerca di un modello confacente alle difficoltà di chi vaga come un “personaggio in cerca d’autore”. Questa strada, però, non risolve il problema di una soluzione pluralista, oggettiva e flessibile nei confronti di un “sistema” (la persona in questione) che, in quanto essere umano mutevole rispetto ad una variabile considerevole di elementi, può presentare condizioni interiori che richiedono l’uso di approcci e tecniche differenti da quelle usate inizialmente. Nasce l’esigenza di abbandonare schemi rigidi terapeutici, per creare nuovi modelli epistemologicamente eclettici, in grado di formare un terapeuta camaleontico, capace di individuare le varie motivazioni relative alle conflittualità dell’analizzato ed intervenire nel modo più corretto.
“Ho scorso l’elenco delle malattie e non vi ho trovato le preoccupazioni e i tristi pensieri: è molto ingiusto” (Galileo Galilei).
Strade grandi, a volte, come la capacità di percepire il battito delle proprie ciglia, col buio anche tra i fari. L’aurora del mio intricato percorso lavorativo è iniziata di notte, diviso tra richieste di aiuto e “partiture” di vita da strappare ai momenti istituzionalmente “obbligati”. A non dormire mai. A declamare, smettere e, di nuovo, suonare quella musica che si ascolta col cervello ma si “sente” col cuore.
Centonovantaquattromilaquattrocento. Tanti sono i minuti trascorsi dalla mia ultima applicazione mentale veicolata su carta, che i più, chiamano “articoli”. Tante idee che diventano una, maliziosa e sbarazzina, che ti saluta e si posiziona un po’ più in là della tua capacità di ricezione, ogni qual volta cerchi di sintonizzarti col tuo mondo interiore per capire se, effettivamente, ne sia valsa pena. Di essere giunto fin qua.
Mi piacerebbe che, almeno ogni tanto, le persone che più amo si accorgessero delle mie serate di solitudine e si fermassero un po’ con me, magari a camminare insieme per questa strada vuota che, a volte pare essere la mia vita. Osservando i granelli della mia personale clessidra scorrere lungo il collo del tempo, temo di essere figlio di una lunga notte nera anche se, per non arrendermi “faccio mille acrobazie col mio aeroplano e diecimila volte ho già toccato il cielo perché, come un falco, io arrivo a tremila metri e poi mi butto giù in picchiata. Ogni volta a sfidare il destino”(Ron Joe Temerario).
E poi, com’è lontano ieri. Più mi avvicino alla vetta più mi accorgo… dei tanti fiori sbocciati malgrado nessuno li curerà… di un tempo “affamato” che consuma la nostra allegria… dei molti che si buttano via… di un ruolo che è sempre più mio, finche ci crederò, finche ce la farò. Oltre quella musica antica che i più, chiamano “speranza”.
In questi momenti, è meglio sintonizzarsi con la seconda stella a destra, per continuare dritto fino al mattino. All’Isola che non c’è… e ritorno. Appunto. E di nuovo cambio rotta, di nuovo cambiano le cose. Sapere dove andare è come sapere cosa dire, come sapere dove mettere le mani. Come cambia l’orizzonte, il tempo, il modo di vedere.
Si racconta che il Conte Carlo III Borromeo abbia amato talmente la sua bella isola (dedicata a sua moglie Isabella) da aver trasmesso quanto di meglio si potesse e aver voluto che il suo cuore riposasse per sempre sotto il pavimento della sua chiesetta.
Alle pendici del Monte Rosa esiste una popolazione di origine germanica, quella dei Walser (dal tedesco Walliser, cioè vallisano, abitante del canton vallese). Operosa e tenace, è riuscita a creare un rapporto così “maturo” con la natura circostante, da realizzare, in ogni casa un’apertura chiamata “finestra dell’anima”, attraverso cui lo spirito dei defunti possa ricongiungersi all’equilibrio dell’universo.
Pare che, negli Stati Uniti d’America esista un’attrice di nome Scarlet Johanson (protagonista di Diario di una tata) alta 156 cm, narici deliziosamente eccessive e peso “non proprio forma” definita da Vogue America “donna più sensuale della Terra” e dal regista Woody Allen “criminosamente sexy”. Non c’è che dire: un bell’esempio di autostima sganciata da modelli stereotipati e imposti dal mondo di celluloide
“Mio fratello che guardi il mondo e il mondo non somiglia a te. Mio fratello che guardi il cielo e il cielo non ti guarda più. Sono nato e ho lavorato in ogni paese e ho difeso con fatica la mia dignità. Sono nato e sono morto in ogni paese e ho camminato in ogni strada del mondo. Se c’è una strada sotto il mare, prima o poi ci troverà. Se non c’è strada dentro il cuore degli altri, prima o poi si traccerà” (Ivano Fossati).
Quanto conta, la gentilezza, in tutto questo?
“la vecchietta era sola al mondo… e dimenticata da tutti. Era così avvilita da rifiutarsi di mangiare. Se ne stava silenziosa e triste, in attesa della morte. Non ha una vera e propria malattia: è deperita perché non vuole più mangiare e non mangia più perché è vittima, ormai, della sua stessa inedia. Entra in scena Millina, mia zia, che tutti i pomeriggi dedicava il suo tempo a confortare ed aiutare i diseredati (i vecchi abbandonati nei cronicari, i bambini degli orfanotrofi, i disadattati, etc.) – Le andrebbe un bel gelato? – strana idea, quella di offrire un gelato ad un moribondo. Ma funziona. Ad ogni cucchiaino ritorna il colorito, la voce, la vita. La vecchietta ha deciso di accettare, prima che il gelato, il calore della solidarietà. La vita è ripresa per un atto di accettazione, di disponibilità, di amore. (Piero Ferruci . La forza della gentilezza – Ed. Mondatori).
Se ci fermiamo a riflettere, concludiamo che il nostro benessere e, in alcuni casi, la nostra sopravvivenza, dipendo dalla disponibilità e dalla gentilezza degli altri. Questo vale ogni qual volta ci si trovi in condizioni di vulnerabilità: nei primi momenti della nostra vita, da piccoli, quando dobbiamo affrontare i disagi del crepuscolo e in ogni circostanza di difficoltà. Più spesso di quanto si immagini, insomma. “Just be a little Kinder (Prova ad essere un po’ più gentile)” (Aldous Huxley).
E la sincerità?
Secondo gli antichi Aztechi l’essere umano nasceva senza un volto definito, con un’immagine da “delineare”, nel tempo, attraverso la correttezza e la verità. In sostanza, se si mente non si può avere un volto da mostrare agli altri perché non si sa bene cosa vogliamo davvero trasmettere. Secondo questa metafora, se stessi non si nasce ma si diventa, costruendo il solco del proprio essere, in base a modelli improntati a chiarezza, con la forza di essere onesti.
Perdono e comprensione…
“Mi ha colpito, soprattutto, la foto di una bambina. La guardi e puoi immaginarla mentre va a scuola, gioca o parla con i suoi genitori. Una bella bambina che non c’è più, uccisa da un odio razziale ben lungi dall’essere eradicato. Eppure suo padre, unico superstite della famiglia, è riuscito a perdonare…”
Partiamo dal principio che, perdonare qualcuno, porta a capire le motivazioni che lo hanno indotto ad offenderci accettando l’idea che tutti possiamo sbagliare in maniera inversamente proporzionale alla maturità acquisita e direttamente proporzionale al grado di stress raggiunto. Questo frena il nostro risentimento consentendoci di calibrare al meglio il grado di suscettibilità. Tutto ciò è utile, inoltre, perché porta a cancellare dal proprio cuore e dalla propria mente sentimenti come rancore e risentimento, che sarebbero dannosi anzitutto per la propria persona. Vendicarsi per un torto subito porta ad infliggere una punizione per ritorsione. Questa situazione apparentemente compensa una condizione di squilibrio ma, in realtà, oltre a metterci in una irreale posizione di superiorità di fronte a chi ha “mancato” nei nostri confronti, crea un periodo di rabbia ulteriore che dura per tutto il tempo impiegato a studiare la strategia più incisiva. Inoltre, tutto ciò potrebbe innescare un pericoloso effetto boomerang, nel caso in cui si producano, successivamente, dei sensi di colpa. Cos’è il perdono se non, in fondo, la possibilità di dare a se stessi l’opportunità di continuare a vivere e a provare a sorridere nuovamente?
“Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli o periremo insieme come stolti” (Martin Luther King)
La psicoterapia, storicamente, ha affrontato la cura di diversi quadri sintomatologici fra cui, sindromi ansiose, depressive, fobiche, ossessive, isteriche, psicosomatiche, etc. è giunto il momento, ormai di porsi come obiettivo, quello di unificare metodologie operative in chiave eclettica ed epistemologicamente integrata, per rispondere alle esigenze di una Società nettamente condizionata da:
- un mercato globale dai consumi fortemente squilibrati (spropositati nelle aree “ricche”, esigui nelle aree depresse);
- una perdita di elementi valutativi tesi alla realizzazione di una vita sana;
- un forte Trend mirante all’utilizzo di strumenti economico speculativi.
La figura del terapeuta, di conseguenza, deve assumere il ruolo di consulente della personalità, con una posizione oggettiva, distaccata, autorevole, priva di pregiudizi, orientata ad accettare l’idea che la vita di ognuno si divide, in parti uguali, fra la necessità di inserirsi in un’attività lavorativa che dia un senso completo, la capacità di saper donare e ricevere amore e la possibilità di conquistare spazi per riflettere e operare… a dimensione umana.
Forse la chiave di volta, consiste nell’accettare la filosofia degli Indiani d’America secondo cui, in fondo, esiste un tempo per ogni cosa…
“Ogni cosa ha un suo tempo: un tempo per correre e uno per camminare; un tempo per vincere ed uno per rinunciare; un tempo per giocare ed uno per osservare; un tempo per attaccare ed uno per difendersi; un tempo per perdere ed uno per riprovare; un tempo per lanciare ed uno per ricevere; un tempo per cominciare ed uno per finire”.
G. M. – Medico Psicoterapeuta
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
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