Sul provvedimento che si accinge a stravolgere la Costituzione repubblicana, cerchiamo di mettere i puntini sulle “i”.
Alla fine della seconda guerra mondiale c’erano solo 74 Stati sulla faccia della Terra. In cinquant’anni sono diventati 192. Gli stati nazionali erano nati per allargare i mercati locali. Ora con la globalizzazione regionalismi e separatismi sono figli “di forze anti-mercato, anti-europee. E quindi anacronistici. Sulla devolution frettolosamente partorita dal centro sinistra i vantaggi sono relativi: consideriamo la sanità, il conflitto Stato-regioni rischia di rendere ingovernabili i conti pubblici.
E per quel che riguarda il fisco, i cittadini hanno capito il trucco: più tributi, più tasse, più burocrazia.
Insomma il provvedimento devolution configura un futuro scontro istituzionale tra stato e poteri regionali che prelude al caos e al trattamento differenziato dei cittadini nelle diverse aree del paese, nei servizi essenziali di istruzione e sanità.
Nulla a che vedere con la tradizione e la pratica del federalismo democratico e solidaristico.
Ed un altro interrogativo sorge spontaneo: riuscirà Bossi a strappare la promessa devolution? L’atteggiamento del Governo sul tema devolution è sconcertante: infatti si accinge a firmare un’inquietante cambiale in bianco, convogliando grosse risorse senza controllo al Nord e accentuando il divario con le regioni più povere del paese. Il Governo ha il dovere di tutelare tutto il paese, con le misure adeguate: ammortizzatori sociali come il ricorso alle 35 ore nelle fabbriche al Sud, a rischio chiusura e il reddito di cittadinanza nelle aree depresse. Misure, che permetterebbero di farla finita con l’assistenzialismo inefficace e clientelare che, da sempre, contraddistingue l’intervento statale nel mezzogiorno.